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" Guerra e pace " è uno dei libri che preferisco. Riporto alcuni brani che amo rileggere.
Erano passate quattro settimane dal momento in cui Pierre era stato fatto prigioniero. Tra gli incendi e le devastazioni di Mosca Pierre aveva toccato quasi il limite estremo delle privazioni che un uomo può sopportare; eppure, grazie alla sua forte costituzione, alla buona salute, che fino a quel momento ignorava di possedere, e soprattutto grazie al fatto che tali privazioni erano giunte in modo così insensibile, che non si poteva dire quando fossero cominciate, sopportò la propria sorte non solo agevolmente, ma addirittura con gioia. E proprio in questo periodo provò quel senso di tranquillità, di intima soddisfazione, a cui prima aveva vanamente aspirato. Nella sua vita aveva cercato a lungo, per strade sempre diverse, quell'armonia, quell'accordo con se stesso, che con tanto stupore aveva scoperto nei soldati durante la battaglia di Borodino; l'aveva cercato nella filantropia, nella massoneria, nella superficialità della vita mondana, nel vino, in un eroico atto di abnegazione, nell'amore romantico per Nataša; l'aveva cercato nel campo del pensiero, ma ogni ricerca, ogni tentativo, l'aveva immancabilmente deluso. Ed ecco che, quando meno ci pensava, aveva trovato la tranquillità, l'armonia con se stesso: le aveva trovate attraverso l'orrore della morte, attraverso le privazioni e quanto aveva imparato da Karatàjev. .............L'assenza di sofferenze, il soddisfacimento dei bisogni della vita e, come conseguenza, la libertà di scegliere le proprie occupazioni, ossia il proprio modo di vita, apparivano a Pierre, adesso, come l'indubbia e suprema felicità dell'uomo. Soltanto adesso, in quel luogo, Pierre aveva pienamente apprezzato, per la prima volta, il piacere di mangiare quando aveva voglia di mangiare, di bere quando aveva voglia di bere, di dormire quando aveva voglia di dormire, di stare al caldo quando aveva freddo, di conversare con qualcuno quando aveva voglia di parlare e di ascoltare una voce umana. Il soddisfacimento dei bisogni - cibo buono, pulizia, libertà - sembrava a Pierre, adesso che era privo di tutto questo, un'assoluta felicità, e scegliere le sue occupazioni, ossia il suo modo di vivere, adesso che tale scelta era così limitata, gli sembrava tanto facile da fargli dimenticare che l'eccesso delle comodità della vita distrugge ogni felicità connessa al soddisfacimento dei bisogni, e che la massima libertà di scelta delle occupazioni, quella libertà che nella vita gli era venuta dall'istruzione, dalla ricchezza, dalla posizione sociale, è proprio ciò che rende la scelta delle occupazioni così insolubilmente difficile e finisce col distruggere il bisogno e la possibilità stessa di trovare un'occupazione. Tutti i sogni di Pierre ora si concentravano sul momento in cui sarebbe tornato libero. E tuttavia in seguito, e poi per tutta la vita, Pierre avrebbe pensato e parlato con entusiasmo di quel mese di prigionia, di quelle irripetibili, intense e gioiose sensazioni, e soprattutto di quella completa tranquillità di spirito, di quell'assoluta libertà interiore, che solo in quel tempo aveva sperimentato.
Nataša si era sposata al principio della primavera del 1813, e nel 1820 aveva già tre figlie e un figlio, che aveva molto desiderato e che ora allattava. Si era fatta florida e piena tanto che era difficile riconoscere in quella madre robusta l'esile e irrequieta Nataša di un tempo. I lineamenti della faccia si erano definiti e avevano un'espressione di tranquilla dolcezza e limpidezza. Sul suo volto non c'era più, come una volta, quella fiamma di animazione che ardeva senza posa e che costituiva il suo fascino. Sovente ora si vedevano solo il suo viso e il suo corpo, mentre non si vedeva affatto l'anima. Si vedeva unicamente una femmina forte, bella e feconda. Il fuoco di un tempo ormai si accendeva in lei molto di rado. Accadeva solo quando, come in questo caso, ritornava suo marito, quando un bambino guariva da una malattia o quando, insieme alla contessa Mar'ja, ricordava il principe Andrej (col marito non parlava mai di lui, supponendo che fosse geloso della memoria del principe Andrej), oppure, molto più di rado, quando qualcosa la riportava casualmente al canto, che aveva completamente abbandonato dopo il matrimonio. E in quei rari momenti in cui il fuoco di un tempo si accendeva nel suo bel corpo, ora perfetto, era anche più affascinante di prima.
Nina dei lupi
LEV TOLSTOY
Lev Nikolaevič Tolstoj, è stato uno scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, educatore, teologo,editore ed attivista sociale russo.
Divenuto celebre in patria grazie ad una serie di racconti giovanili sulla realtà della guerra, il nome di Tolstoj acquistò presto risonanza mondiale per il successo dei romanzi Guerra e pace ed Anna Karenina, a cui seguirono altre sue opere narrative sempre più rivolte all'introspezione dei personaggi ed alla riflessione morale.
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La copertina del libro mi ha subito attratto. La figura del lupo è bellissima, il pelo luminoso risalta sullo sfondo nero, le zampe incrociate
sono una caratteristica dell'animale selvatico.
Bella anche la frase nella quarta di copertina:
“Nella bolla di silenzio e angosciosa attesa, la natura fa
un passo indietro. Osserva l’idiozia degli uomini.”
La protagonista del libro è una ragazzina di dodici anni di nome Nina che scampata a un massacro e rimasta orfana, è portata dal nonno Alfredo al villaggio di Piedimulo. Inizio a leggere e rimango colpita dalla scelta
delle parole,che creano nella mia mente una sinfonia di immagini. Immagini di un mondo antico, che mi ricordano la gioventù. Anche se ho vissuto sempre in città, questa confinava ancora
con la campagna, con la gente semplice e tanto necessaria che
coltivava la terra. Conservo la memoria di antichi cascinali e l’operosità
dei suoi abitanti. La trama del romanzo mi attira, una comunità che si è isolata completamente dal mondo per sfuggire ad un massacro non ben definito. Continuo la lettura e mi rendo conto, che proprio questa minaccia del passato, non ben definita, rende invece la trama ossessiva e pesante.
Verso la metà del libro, sono descritte scene di violenze detestabili e abusi sessuali che senz’altro si verificherebbero in un mondo nel quale esplode la cattiveria ma l'autore avrebbe fatto meglio a non replicare così spesso, quasi volesse attirare il lettore su un effetto spettacolare per catturarne l’attenzione.
Riporto alcuni passi che mi sono piaciuti.
Mi fa tenerezza pensare all’amuleto di Nina.
“L’amuleto è una piccola castagna quasi perfettamente tonda, lucida, piena, senza scalfitture né ammaccature. L’aveva trovata il primo giorno trascorso in montagna, più di tre anni prima. Stava per terra in mezzo al sentiero, sembrava aspettarla…….”
Fuori dall'abitato era rimasto il cartello che indicava il nome del paese..
“Al bordo della strada, sommerso dalle piante del bosco che l’abbracciavano al modo degli amanti, il cartello blu della municipalità indicava il nome di Piedimulo, il numero degli abitanti e l’altitudine………Il cartello significava una presenza reale, avvertiva che in quel luogo ci stavano delle case con dentro delle persone , degli affetti, qualcosa di vero da tramandare, la memoria di quello che erano stati…..”
Leggete questa antica tiritera, tipicamente contadina che Alfredo e Nina recitano attraversando un ruscello.
“ Acqua corrente la beve il serpente, la beve Dio, la bevo anch’io.”
Se un gentile visitatore legge queste pagine ed il libro, mi farebbe piacere conoscerne l'opinione.